Recensione di Francesca
Il “Piccolo Principe” narra la storia di un uomo che all’età di sei anni è stato sottratto al suo sogno di diventare un pittore a causa delle privazioni degli adulti, incapaci di capire il suo talento creativo, e ora si trova nel deserto a rispondere alle richieste di un bambino, la cui apparizione in quel luogo lontano “mille miglia da ogni abitazione umana” (come recita il romanzo) sembra rappresentare per lo sventurato caduto dall’aereo una rievocazione dell’infanzia, ovvero quel periodo in cui un individuo osserva il mondo per la prima volta ed espone ai grandi le sue domande al riguardo.
Il ragazzino gli raccontò di essere scappato dal suo pianeta, in particolare da una rosa esigente e vanitosa, e di aver visitato, prima di arrivare sulla Terra, sei asteroidi popolati ognuno da adulti che il giovane definisce “bizzarri” poiché si occupavano soltanto dei loro interessi e dei loro poteri, incuranti della monotonia in cui vivevano.
Con il passare del tempo il Piccolo Principe conobbe un serpente ed una volpe che gli fecero capire l’unicità della sua rosa e maturarono nella sua mente il desiderio di tornare nel suo piccolo satellite al fine di prendersi cura del fiore.
In questo libro l’autore esalta l’importanza di un oggetto comune come la rosa per affrontare un argomento universale: la dedizione.
Nella narrazione il fanciullo nota la crescita della rosa e riflette che l’unico obbligo è quello di darle dell’acqua, ma scoprirà ben presto che serve molto altro: un tesoro come quello deve essere protetto e non è necessario fuggire per capirne il valore; difatti al termine del racconto egli intese il suo pentimento e comprese un insegnamento evidenziato nella celebre frase: “Non si vede bene che con il cuore; l’essenziale è invisibile agli occhi”.
Questo vuole significare che l’essere umano osserva il mondo soltanto con i propri occhi, non è più in grado di interagire con il cuore, esattamente come fanno i bambini; i grandi lasciano a metà quegli interessi che dovrebbero essere guardati da un altro punto di vista e rimpiangono il tempo perduto in un momento successivo all’abbandono.
Come viene anche affermato allo scorrere delle pagine, gli adulti ritengono di essere seri perché sono in grado di eccellere in materie filosofiche e scientifiche, ma non in quelle emozionali; in altre parole, superata la fase adolescenziale, l’individuo tende a perdere quell’eccitazione e quella sete di conoscenza tipica dei bambini fino a raggiungere un carattere di distacco dal mondo sopraccitato.
Ed è proprio questa mancanza di comprensione che non permette ai grandi di farsi istruire dai più piccini in quanto ritenuti poco credibili e lontani dal mondo reale; tuttavia, gli infanti hanno una percezione di ciò che li circonda piuttosto creativa ed è questo che permette loro di sperimentare, di ottenere sempre più informazioni, con lo scopo di costruire loro stessi.
Antoine de Saint-Exupéry ha adattato il libro sia a lettori che vogliono rispecchiarsi nel personaggio e nell’età del Principe, sia a lettori di età più avanzata per costringerli a meditare sulla loro “serietà” e scoprire cosa può far nascere dentro loro la curiosità di un ragazzino.
A tali considerazioni allego una citazione di Ursula K. Le Guin, che potrebbe riassumere il tema centrale del romanzo: “Un adulto creativo è un bambino sopravvissuto”, perciò ognuno ha il dovere di mantenere costantemente quello spirito e quella fantasia che fanno di lui un vero adulto.